jueves, 11 de febrero de 2010

DUE STREGHE IN FAMIGLIA

SUO PADRE, CHIAMATO LA "BRUJA" (STREGA), VINSE L'INTERCONTINENTALE 40 ANNI FA CON L'ESTUDIANTES. LUI, LA "BRUJITA" CHE HA GIOCATO IN ITALIA, GUIDERÀ LA STESSA SQUADRA NEL MONDIALE PER CLUB. «MA AI TEMPI DI PAPÀ ERA MOLTO PIÙ DURA»




Era tornato proprio per questo. Per disputare L´Intercontinentale, oggi Mondiale per club, con la sua squadra del cuore. Tre anni fa aveva lasciato l´Europa e l´Inter con questo obiettivo: riportare in alto l´Estudiantes di La Plata, il club da dove era partita la sua carriera, il club nel quale aveva giocato e vinto il padre Juan Ramón. Dall'83 l'Estu non vinceva più un titolo, dall'84 non giocava una Libertadores, da 40 anni un'Intercontinentale, dai tempi di papà. Nel 2006 Juan Sebastián Veron ha guidato i biancorossi platensi al titolo nazionale, nel luglio scorso alla conquista della più importante coppa sudamericana. Ora dal 9 al 19 dicembre ad Abu Dhabi deve chiudere il cerchio. Barcellona, fra gli altri, permettendo. Vincere quel trofeo intercontinentale che papà giocò tre volte, ma vinse solo nel 1968 contro il Manchester United di Bobby Charlton, Best e Law, proprio grazie a un suo gol all'Old Trafford.
Seba, qui per tutti è il figlio de La Bruja (la strega). «Ho sempre saputo ciò che aveva fatto mio padre, ma non mi ero mai reso contó davvero di quel che era stato per 1´Estu. Crescendo qui i paragoni diventavano sempre più difficili per me. Fino almeno al debutto in prima squadra, quando poi ho fatto la mia strada. Penso però di aver dimostrato che al di là del soprannome, la Brujita, valgo per quanto fatto e vinto nella mia carriera».



È tornato in Argentina a soli 31 anni: era solo per rivincere con l'Estudiantes?
«Sono nato qui e mi piace questo posto. Il primo pensiero è stato la famiglia, riportarla a casa. Poi penso che in Europa la mia strada fosse finita. Ho fatto una buona carriera, non c'erano più stimolí. Come si dice qui, ho scelto col cuore, non con la tasca... Infine sì, volevo dare qualcosa al mio vecchio club in termini di esperienza. Infatti non ho avuto problemi quest´anno a rinunciare a metà dello stipendio: l'ho fatto volentieri, per dare al mio club strutture migliori, e data la crisi económica... Nel calcio in genere si sono perse le radici, ma è importante impegnarsi per il futuro, daré ai ragazzi il modo di crescere, educarli, mi sentivo in debito col mio club. Volevo dare qualcosa di quello che avevo raccolto».

Una volta era più dura vincere in Sud America?
«Prima era molto più difficile accedere alla coppa. Nell´ultima edizione noi ci siamo qualificati da 5° club argentino… Come succede oggi in Europa con la Champions. Se si chiede agli anziani qui in giro, ti dicono che una volta era più dura da vincere la Libertadores, perchè dovevi essere campione nazionale. Però oggi noi giochiamo più partite, siamo più stanchi».
Le piaceva quella formula dell´Intercontinentale. andata e ritorno?
«A me piaceva molto la coppa in partita unica o, sì, al limite come la giocava papà. Però il Mondiale per club segue il business del calcio: più parti¬te, più pubblicità e diritti tv, più incassi...».

È il calcio di oggi.
«Sì, prima c´era di bello che molti più calciatori facevano quasi tutta la carriera in un solo club, come papà. Oggi con gli affari che si fanno è più difficile. E per un argentino è più facile finire in Europa, bastano pochi match nel nostro campionato e già lo si pensa pronto per il salto...».

Come ha ritrovato il calcio sudamericano?
«Appunto, i club qui sopravvivono solo con la vendita dei giocatori, per cui si sono molto indeboliti in campo. A parte alcuni come il Boca o noi che possiamo permetterci di non svendere e conservare un blocco importan¬te. E ciò ci permette di far bene nei tornei internazionali».

Perchè lei ha cambiato tante squadre in Europa?
«Per inquietudine o per prova¬re nuove emozioni, avere nuovi obiettivi. conoscere gente e posti diversi. Ovunque però mi sono trovato bene e ho avuto la sorte di vincere tanto».
Ha in programma di diventare allenatore?
«No, mi piacerebbe fare il dirigente sportivo, in Ar¬gentina nelle società servono uomini che abbiano giocato e che conoscano gli spogliatoi. È diverso dall'Europa, dove i dirigenti sono imprenditori o manager».

Continua a tifare per qualche club italiano?
«Guardo e mi informo su tutto il calcio europeo. Cerco di vedere i match dei club nei quali ho giocato. Non sono un fan, però mi sento vicino all´Inter, alla Lazio e al Manchester. Ricordo il giorno che abbiamo vinto lo scudetto con la Lazio, nel 2000, tutti aspettando il risultato di Perugia-Juve, nello spogliatoio. Con Sensini eravamo attaccati alla radio, il più bel ricordo che ho. Mi sono trovato molto bene pure con Roberto Mancini a Genova, il primo che mi ha accolto e introdotto in città, con Moreno Mannini, a Fausto Salsano chiedevo la macchina in prestito... Gente perbene, dal cuore enorme».

Che ne pensa, di questa serie A?
«C'è una grossa disparità fra l'Inter, la Juve e gli altri. Però ci sono altre squadre ben organizzate come la Samp e la Fiorentina, anche se alla fine vince sempre chi ha la rosa più ampia».

Dei tanti argentini ora arrivati in Italia chi le piace?
«Mariano Andujar, portiere del Catania, per 3 anni mio compagno all´Estudiantes, è uno dei tre migliori portieri argentini. Può sfondare anche in Ita¬lia. Per tutti dipendera dall´adattamento, perchè non è facile cam¬biare continente. A me è andata bene. Ma il calcio italiano ha esigenze diverse da quello argentino».
E degli argentini in patria chi consiglierebbe?
«Altri tre miei compagni dell'Estudiantes: il centrocampista Enzo Pérez, 23 anni, che ha appena debuttato [10-10-09, col Perú 2-1; ndr] nella nazionale di Maradona, l´attaccante Mauro Boselli, ex Boca, e il difensore uruguaiano Juan Manuel Díaz. Sono grandi calciatori e potrebbero tranquillamente giocare in serie A».
Come la piccola strega. Che ora però ha un appuntamento con la storia.



«Che avventura la coppa del ´68»
Il 9 marzo ´75 l´Estu e il Gimnasia giocavano il derby n. 87. Juan Ramón Veron nell'Estu siglò il 3-3. Ma la festa in casa Veron non fu solo per quel gol. Era appena nato Juan Sebastián. Papà Ramón lo venne a sapere solo dopo la fine del match. Il tecnico Bilardo gli aveva nascosto l´evento. «Ero una punta rapida, da contropiede, molto tranquilla in zona gol», racconta oggi il papà di Seba, detto la Bruja, la strega, perchè portava capelli lisci lunghi. A La Plata ha vinto 3 scudetti, 3 Libertadores, una Intercontinentale e l'Interamericana ´68. Oggi è segretario tecnico del club. «A Seba piaceva tanto il calcio, io l'ho sempre incoraggiato a continuare. Già a 3 anni mostrava di poter divenire un buon calciatore, lo si vedeva da come colpiva la palla, da come si metteva nel campetto. Ho avuto ragione». Dei suoi tempi ricorda: «Allora era più dura qualificarsi per la Libertadores, i club piccoli come l'Estu non ce la facevano. Nel 1968 fu la nostra prima volta. Da lì iniziammo un´avventura che non avremmo mai immaginato. Col passar del tempo e delle vittorie acquistammo fiducia». Sull´Intercontinentale dice: «Noi allora non sapevamo molto del Manchester; qualcosa per aver visto alcuni calciatori nell´Inghilterra 1966». Il calcio è cambiato ma «quel che non cambia sono le qualità tecniche dei calciatori. Non si imparano, le devi possedere». Come i due Veron.

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